Tanto poco by Marco Lodoli

Tanto poco by Marco Lodoli

autore:Marco Lodoli [Lodoli, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-01-15T12:00:00+00:00


Ho telefonato a Massimo, non l’avevo mai fatto. Gli ho chiesto di passarmi a prendere verso le undici di sera. Mi ha detto sí, ma non questa sera, oggi proprio non posso, non saprei cosa raccontare a mia moglie. Basta, ti aspetto alle undici, e ho attaccato. Alle dieci e trenta ero pronta, seduta sul bordo del letto con la borsa grande a tracolla e le chiavi di casa in mano. Ho riguardato ancora una volta l’indirizzo che avevo trascritto su un foglietto, una strada dall’altra parte di Roma, un viaggio.

Mi sono inginocchiata davanti al letto e ho pregato, Dio perdonami, lo sai che non sono cattiva, sono solo una tua creatura imperfetta, tu che leggi nei cuori e vedi tutto, so che vedi il mio amore e lo benedici, anche se è cosí deforme.

Alle undici in punto è suonato il citofono e sono scesa. Massimo aveva una felpa nera con il cappuccio sulla testa, un fremito nelle gambe che scalpicciavano sull’asfalto, il fiato che s’annuvolava nell’aria fredda. In giro non c’era un’anima, in periferia la gente va a dormire presto. Andiamo, ho detto, e sono salita sulla piccola macchina di Massimo. Dove andiamo? Sullo stradario avevo studiato il percorso metro dopo metro, gira a destra, dritto, al semaforo a sinistra. Mezz’ora e siamo arrivati in un quartiere che non avevo mai visto, tra Roma e il mare: palazzi grandi, strade larghe, due tozzi grattacieli e pochi lampioni accesi. Ancora a destra, la seconda a sinistra, ecco, fermati qui. La strada era quella e il numero era quello che avevo trovato su un vecchio elenco del telefono. Una nebbiolina gelida abbracciava tutto quanto, sgranava le forme delle cose.

Quella era l’abitazione del critico che sul giornale ogni volta insultava Matteo, lo derideva, lo calpestava con la soddisfazione di chi sta facendo il proprio dovere di boia, di chi è pagato per giudicare e punire gli altri. Che dobbiamo fare? mi ha domandato Massimo, le parole dentro al fiato bianco. Lo sapevo e non lo sapevo, dovevo ancora cercare e forse non avrei trovato nulla, ma intanto ero nel posto giusto. Ho camminato lungo la strada osservando le macchine a una a una, aspettando un segno rivelatore, una confessione. Poi ho visto una vecchia berlina grigia nel parcheggio riservato agli invalidi, una portiera ammaccata, le foglie morte sul vetro, una ruota mezzo sgonfia: sui sedili posteriori erano ammassati tanti libri, molti chiusi ancora nella plastica, pile di giornali di chissà quando. Sembrava abbandonata lí da mesi, anni, una cosa morta.

Ho chiesto a Massimo una sigaretta, ne fumo una ogni tanto, quando mi sento troppo nervosa: Massimo mi ha avvicinato la fiamma per accenderla e se ne è accesa una anche lui, gli si è illuminata una smorfia sul viso. Siamo rimasti lí a fumare in silenzio come se aspettassimo qualcosa, qualcuno, nel vuoto scuro della notte dopo Roma e prima del mare, in quel quartiere sconosciuto.

La macchina da bruciare è questa, ho detto, e dalla borsa grande ho tirato fuori una bottiglia del latte piena di benzina.



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